Giuseppe Difonzo, responsabile dell’omicidio della figlia di tre mesi, nel febbraio 2016, ha ricevuto una condanna a 29 anni di carcere.
La vicenda giudiziaria che ha coinvolto Giuseppe Difonzo, segnata da condanne, ricorsi ed un profilo psichiatrico da “bugiardo patologico”, ha attirato grande attenzione mediatica. Approfondiamo insieme il drammatico caso di cronaca nera, e scopriamo di più sull’uomo, che si è macchiato di “filicidio”.
Chi è Giuseppe Difonzo: biografia e professione
Nato nel 1987, ad Altamura in provincia di Bari, su Giuseppe Difonzo non si hanno molti dettagli sulla sua vita prima degli eventi legati ai crimini commessi. Dalle scarne informazioni giudiziarie è stato ritratto come un individuo con un disturbo della personalità di tipo istrionico-narcisistico, caratterizzato da comportamenti manipolativi e da una percezione distorta delle responsabilità.
Oltre all’omicidio volontario della figlia Emanuela, di tre mesi, avvenuto nel febbraio 2016, l’uomo ha subito un’ulteriore condanna per violenza sessuale. Reato commesso su una minorenne di 14 anni, nel 2016, e per cui era già detenuto al momento delle indagini sull’omicidio della piccola figlia.
Non ci sono informazioni specifiche o dettagliate sulla professione di Giuseppe Difonzo. I resoconti giudiziari come anche le informazioni giornalistiche non menzionano un’occupazione precisa dell’uomo, per cui è probabile che non avesse una professione precisa, o che questo aspetto non fosse rilevante per il caso. È possibile inoltre che fosse disoccupato o svolgesse lavori saltuari.
L’omicidio della piccola Emanuela
Giuseppe Difonzo per l’omicidio della figlia, una bimba di appena tre mesi, ha subito una condanna di 29 anni di reclusione, crimine commesso nella notte tra il 12 ed il 13 febbraio 2016 nell’ospedale pediatrico “Giovanni XXIII” di Bari.
Secondo le indagini, coordinate dalla pm Simona Filoni, l’uomo ha soffocato la piccola durante un ricovero, sfruttando un momento in cui era da solo con lei. La bambina, nata nell’ottobre 2015, aveva trascorso oltre 60 giorni in ospedale per crisi respiratorie. Una condizione che i giudici hanno attribuito a precedenti tentativi di soffocamento da parte del padre, avvenuti nel novembre 2015 e nel gennaio 2016. L’uomo, infatti è stato condannato anche per due tentati omicidi.
Le motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Bari, confermate dalla Cassazione nel marzo 2025, hanno evidenziato che Difonzo percepiva la figlia come “ingombrante e scomoda”. Per l’uomo, la sua nascita lo obbligava ad assumersi responsabilità che non voleva accettare. I giudici hanno inoltre rilevato che l’uomo ha agito per “sgravarsi dall’impegno” di simulare un coinvolgimento emotivo verso la bambina.
Una perizia psichiatrica, condotta dal professor Roberto Catanesi, ha stabilito che Difonzo era capace di intendere e volere, tracciando il quadro di un bugiardo patologico, con disturbo della personalità dai tratti istrionico-narcisistici, escludendo comunque la presenza di disturbi psicotici o della sindrome di Munchausen per procura, inizialmente ipotizzata. Questa sindrome, che implica provocare danni a terzi per attirare attenzione, si è ritenuta incompatibile con le azioni dell’uomo, da ricondurre invece al desiderio di liberarsi delle responsabilità genitoriali.
Giuseppe Difonzo si è macchiato dell’omicidio della figlia, mentre era già detenuto dal novembre 2016 per un altro reato: violenza sessuale su una minorenne di 14 anni, figlia di amici di famiglia, per il quale ha ricevuto una condanna a tre anni.
Il processo per l’omicidio ha avuto un iter complesso: dopo la condanna in primo grado a 16 anni per omicidio preterintenzionale, è arrivata la condanna all’ergastolo in appello per omicidio volontario premeditato. Ma nel 2022, la Cassazione ha annullato la sentenza, portando alla scarcerazione temporanea di Difonzo. In seguito ad un nuovo processo d’appello, svoltosi nel 2024, si è confermata la condanna a 29 anni, resa definitiva dalla Cassazione nel 2025.
Un elemento chiave emerso nel corso delle indagini, è da rintracciare nella testimonianza di un bambino di tre anni. Il piccolo testimone, presente nella stessa stanza d’ospedale, ha mimato i gesti di Difonzo durante un’audizione protetta. Così il bambino ha mostrato come l’uomo avesse premuto sul viso e sul corpo della neonata.
La compagna di Giuseppe Difonzo, madre della piccola uccisa
Non sono disponibili notizie sulla compagna di Giuseppe Difonzo, la madre della piccola Emanuela, il cui nome non è apparso nei resoconti per tutelarne la privacy. La donna, all’epoca dei fatti, era legata sentimentalmente all’uomo.
Durante le indagini e nel corso del procedimento giudiziario, non è emerso alcun suo coinvolgimento nel caso. La donna non era consapevole delle azioni deplorevoli di Difonzo. Al contrario, i resoconti hanno sottolineato che l’assassino ha agito in autonomia. Di fatto ha sfruttato momenti in cui era solo con la figlia, come durante il ricovero in ospedale. La madre della bambina non è mai apparsa come parte attiva nei crimini, anzi è rimasta fortemente colpita dalla perdita della figlia.
Curiosità su Giuseppe Difonzo
– Durante il processo, che lo ha visto come imputato, è emerso di Giuseppe Difonzo un profilo da “bugiardo patologico”. Inoltre, la sua descrizione ha delineato una persona che rifuggiva dalle responsabilità, in particolare quelle genitoriali. L’uomo percepiva la figlia come un ostacolo alla sua libertà personale.
– Il caso ha suscitato grande attenzione mediatica, anche per la freddezza mostrata dall’uomo, descritto come distaccato e privo di emozioni durante il processo. La vicenda ha trovato spazio ed approfondimento mediato nel corso degli anni, come ad esempio nel programma televisivo condotto da Roberta Petrelluzzi, “Un giorno in pretura” su Rai 3, in onda il 6 maggio 2025.
– Nel diritto penale italiano, il crimine commesso da Difonzo è classificato come omicidio volontario (art. 575 c.p.), spesso aggravato dal vincolo familiare (art. 577 c.p.) se commesso contro un discendente. In criminologia e psicologia, il filicidio è studiato come fenomeno distinto, con motivazioni che possono includere disturbi mentali, stress estremi, conflitti familiari, o, come nel caso di Difonzo, il rifiuto delle responsabilità genitoriali. Nel suo caso, il filicidio della figlia di tre mesi, si è catalogato come omicidio volontario aggravato da premeditazione e vincolo familiare.