La scienza ridimensiona il mito della vitamina D: molte convinzioni, infatti, non troverebbero riscontro negli studi più importanti.
Negli ultimi dieci anni, la vitamina D è stata spesso presentata come una sostanza capace di proteggere da patologie gravi, tra le quali possiamo annoverare il cancro ma anche le malattie cardiovascolari, nonché i disturbi neurodegenerativi. Una narrazione suggestiva, che però non trova conferma nei dati scientifici più importanti. Scopriamo, dunque, tutti i falsi miti più diffusi e perché la scienza tende a smontarli.
La scienza contro i falsi miti legati alla vitamina D
Il VITAL trial, uno dei più ampi studi clinici randomizzati condotti sull’argomento e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2019, ha coinvolto oltre 25 mila partecipanti seguiti per cinque anni.
L’assunzione quotidiana di 2000 unità internazionali di vitamina D non ha determinato una riduzione importante di tumori, infarti e ictus. Un risultato che ha ridimensionato, in maniera netta, le speranze riposte in questa molecola come strumento di prevenzione primaria delle malattie croniche.

Analogamente, l’uso della vitamina D per contrastare l’osteoporosi e ridurre il rischio di fratture non appare giustificato nella popolazione generale.
I benefici si osservano soltanto in contesti specifici, come negli anziani molto fragili, soggetti per i quali gli integratori di vitamina D sono spesso associati a quelli di calcio, anche se, va detto, l’efficacia, secondo quanto affermano gli esperti, è – ad ogni modo – modesto.
Immunità, valori sierici e test: cosa dicono i risultati
Durante la pandemia di COVID-19, la vitamina D è stata proposta come possibile alleata del sistema immunitario.
Alcuni studi osservazionali avevano segnalato una correlazione tra bassi livelli ematici e maggiore incidenza di infezioni respiratorie, ma le revisioni sistematiche e i trial clinici successivi hanno smentito l’esistenza di un effetto protettivo importante. Non è stato, infatti, dimostrato un effetto nella prevenzione e/o nel trattamento di COVID-19, ma nemmeno per l’influenza e i raffreddori comuni.
Anche la questione dei valori ottimali nel sangue è stata oggetto di revisione. Per lungo tempo la soglia di riferimento è stata fissata a 30 ng/mL, ma le principali società scientifiche indicano come adeguati livelli pari o superiori a 20 ng/mL.
Superare questa soglia con integratori assunti anche se non servono non apporta benefici, anzi, può addirittura aumentare il rischio di effetti indesiderati, tra i quali possiamo annoverare l’ipercalcemia e i calcoli renali.
Non è raccomandato, infine, lo screening di massa, in quanto le linee guida internazionali riservano il test della vitamina D a persone con sintomi e condizioni specifiche, tra cui osteoporosi, malassorbimento intestinale ed insufficienza renale cronica.