Nel maxi emendamento alla manovra una nuova stretta previdenziale riduce il valore del riscatto della laurea: cosa succede.
Il maxi emendamento alla manovra di bilancio riaccende lo scontro sulle pensioni e, in particolare, sul riscatto degli anni di laurea. La modifica proposta dal governo introduce una stretta importante, che rende molto meno vantaggioso utilizzare gli anni di studio per anticipare l’uscita dal mercato del lavoro, con effetti che si faranno sentire anche su chi ha già sostenuto costi – anche alti, in alcuni casi – confidando nelle regole attuali.
Pensioni, stretta sul riscatto della laurea per uscire prima dal mercato del lavoro
Il nuovo impianto normativo interviene sui requisiti della pensione anticipata previsti dalla legge Fornero, che consente il pensionamento con 42 anni e 10 mesi di contributi. A partire dal 2031, per chi maturerà il diritto dopo il 2030, una parte dei mesi riscattati non verrà più conteggiata. Il meccanismo è progressivo: nel primo anno di applicazione verranno esclusi sei mesi, che diventeranno dodici l’anno successivo, aumentando di sei mesi per ogni anno seguente.
Si punterebbe, dunque, al contenimento della spesa pubblica, al fine di risparmiare tra i 500 e i 600 milioni di euro l’anno. Il prezzo di questo intervento, però, ricade sui lavoratori che avevano puntato sul riscatto della laurea come strumento per avvicinarsi prima alla pensione. Con il passare degli anni, il beneficio contributivo si ridurrà drasticamente, fino a diventare quasi simbolico per alcuni percorsi universitari.
Le polemiche sulla retroattività
L’impatto più evidente riguarda i laureati triennali. In prospettiva, per chi maturerà i requisiti dal 2035, dei 36 mesi riscattati ne resterebbero utili solo sei.
Anche per le lauree magistrali quinquennali il taglio sarebbe consistente, per le quali sarebbe previsto il riconoscimento di circa la metà dei contributi. Tutto questo senza alcuna riduzione dei costi già sostenuti, che – nel riscatto agevolato – superano i 6.100 euro per ogni anno e possono essere molto più alti nel regime ordinario.
L’unico elemento che resta lo stesso è l’assegno pensionistico, che non dovrebbe subire riduzioni perché la misura incide solo sui requisiti di accesso e non sul calcolo dell’importo. Tuttavia, il punto più contestato è la retroattività della norma. Il criterio di base non riguarderebbe il momento in cui il riscatto è stato effettuato, bensì quello in cui si raggiungono i requisiti per la pensione: pertanto, chi ha già pagato vedrà cambiare le condizioni.
Dal fronte sindacale e politico le critiche sono state dure. La Cgil ha definito l’intervento privo di confronto e caratterizzato da profili di incostituzionalità, sottolineando come, sommando questa stretta all’aumento legato alla speranza di vita e all’allungamento delle finestre mobili, alcuni lavoratori potrebbero arrivare a superare i 46 anni di contributi prima di lasciare il lavoro.
Dubbi sulla tenuta giuridica della misura emergono anche in ambienti tecnici, soprattutto per il possibile trattamento penalizzante riservato ai laureati triennali. Dalla maggioranza, invece, è filtrata la linea della cautela, con l’impegno annunciato di monitorare gli effetti della riforma anno dopo anno.
