Tra percentuali, requisiti contributivi e casi particolari, scoprire quanto spetta di pensione di reversibilità al coniuge superstite non è così semplice.
Quando viene a mancare un coniuge, oltre al dolore umano, si apre spesso anche un capitolo complesso sul piano economico. Tra gli strumenti di tutela previsti dal sistema previdenziale italiano, c’è la pensione di reversibilità, che rappresenta una misura di sostegno fondamentale, ma tutt’altro che automatica e uguale per tutti. L’importo finale, infatti, dipende da una serie di fattori: cerchiamo di fare chiarezza.
Chi ha diritto alla pensione di reversibilità
Per accedere alla reversibilità, è necessario che il coniuge defunto fosse già pensionato o che avesse maturato i requisiti minimi per la pensione diretta.
In linea generale, sono richiesti almeno 15 anni di contributi complessivi, oppure 3 anni di versamenti negli ultimi 5 anni prima del decesso. Solo in presenza di questi requisiti, l’INPS può riconoscere la prestazione al coniuge superstite, con decorrenza dal mese successivo alla morte.
Contrariamente a quanto molti credono, la reversibilità non corrisponde all’intero assegno percepito dal defunto. L’importo, infatti, varia in base alla situazione familiare e alla presenza di altri aventi diritto. La quota spettante al coniuge si attesta generalmente al 60% della pensione originaria, ma può crescere se vi sono figli a carico: 80% con un figlio, 100% con due o più figli.
Separazioni, divorzi e convivenze: i casi più delicati
Il diritto alla pensione di reversibilità non riguarda soltanto le coppie sposate conviventi. In presenza di separazione e divorzio, la situazione cambia sensibilmente.
Il coniuge divorziato, ad esempio, può ottenere una quota della reversibilità solo se riceve un assegno divorzile e non si è risposato. La percentuale riconosciuta è stabilita in proporzione alla durata del matrimonio e alle condizioni economiche delle parti.
Più complesso è il caso delle convivenze non ufficializzate. Le coppie di fatto, salvo che non abbiano formalizzato l’unione civile e/o stipulato specifici accordi di tutela, non hanno diritto alla reversibilità. Restano, ad ogni modo, possibili altre forme di sostegno se previste da contratti integrativi e fondi previdenziali di categoria.
