Secondo una recente ricerca americana, gli alimenti ultraprocessati provocano danni paragonabili agli effetti del fumo.
Ci si interroga sempre più spesso sulla qualità del cibo che mettiamo in tavola e tra gli alimenti vi sono anche quelli ultralavorati e ultraprocessati, ormai onnipresenti nelle nostre dispense, i quali hanno un impatto sulla salute molto importante. Secondo un recente studio condotto dalla Florida Atlantic University, questi prodotti — spesso composti da additivi, conservanti e processi industriali complessi — sono associati ad un aumento significativo dei parametri infiammatori nel corpo umano, fenomeno paragonabile, a quello attuato dalle sigarette.
I danni provocati all’organismo dai cibi ultraprocessati: lo studio
Gli studiosi hanno analizzato i dati relativi a 9.254 adulti partecipanti al database nazionale statunitense National Health and Nutrition Examination Survey, con l’obiettivo di valutare l’apporto calorico derivante da alimenti ultraprocessati e confrontarlo con i livelli della proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP), marker riconosciuto di infiammazione sistemica.
Dai risultati, dunque, è emerso che chi tra gli intervistati traeva oltre il 40% delle calorie giornaliere da tali alimenti presentava un aumento dell’11-14% del rischio di infiammazione cronica, anche una volta corretti i dati per età , peso, fumo e abitudini di vita.

In gruppi a maggior rischio — ad esempio quello delle persone obese, tra i 50 e i 59 anni e quello fumatori — l’aumento del rischio arrivava fino al 26%. Il dato più preoccupante? Nei casi di obesità l’effetto dell’ultralavorazione alimentare era amplificato fino all’80%.
Il parallelismo inquietante tra tabacco e cibo industriale
Secondo gli autori dello studio, l’evoluzione del consumo di alimenti altamente processati ricorda da vicino la storia del fumo nel XX secolo, inizialmente percepito come innocuo e solo con il tempo riconosciuto come micidiale.
Il dottor Frederick H. Hennekens, tra i ricercatori principali, sottolinea come oggi le aziende del settore alimentare ultralavorato dispongano di un potere commerciale simile a quello che avevano in passato le imprese del tabacco, con strategie di marketing aggressive.
Sebbene il livello di infiammazione registrato nei soggetti analizzati fosse definito “moderato“, gli effetti cumulativi sul lungo termine non vanno sottovalutati: l’infiammazione cronica è, infatti, alla base di patologie cardiovascolari, diabete di tipo 2, obesità , Alzheimer e tumori. Gli autori dello studio e molti altri ricercatori in ambito nutrizionale invitano, quindi, a rivedere quanto mangiamo, ma soprattutto cosa e come lo mangiamo.
Pertanto, è importante ridurre il consumo di cibi ultraprocessati — patatine, bibite gassate, snack in confezione, piatti pronti — scegliendo alimenti freschi, naturali e poco lavorati.