Roberta Petrucci, pediatra pesarese di Medici Senza Frontiere, è tornata dopo 5 settimane in Liberia a stretto contatto con l’Ebola.

Cinque settimane nel nord della Liberia, distretto di Foya, tra villaggi rurali immersi nella foresta, convivendo con pioggia, caldo e umidità dove l’Ebola, riesplosa ferocemente a marzo tra Sierra Leone e Guinea, è arrivata a segnare 700 nuovi contagi a settimana. Roberta Petrucci, pediatra pesarese di Medici Senza Frontiere, ha visto l’inferno da vicino. Ma lì, tra paura e dolore, ha trovato la forza di un sorriso.

“La situazione a Foya è drammatica, tragica, peggio di quello che mi aspettassi -dice Roberta Petrucci-. La popolazione è terrorizzata: si trova a combattere contro una malattia che non conosce e non sa come proteggersi. In alcuni villaggi la metà degli abitanti è morta. E’ stata la mia missione più difficile. Il lavoro si sviluppava nel centro operativo o raggiungendo altri villaggi distanti ore di auto. Abbiamo vissuto in comunità, in 3-4 case, insieme agli altri medici internazionali: condividere tra noi questa esperienza ci ha aiutato emotivamente. La sveglia alle 6, alle 7 riunione per pianificare la giornata, affrontare i casi degni di nota e programmare l’ingresso nella zona di isolamento dove, per questioni di sicurezza, si stava al massimo un’ora e mezza» racconta la dottoressa Roberta Petrucci spiegando come fosse strutturato il centro operativo. In due zone: una ad alto rischio, dove si entra indossando uno scafandro e degli occhiali speciali. E una a basso rischio dove entra comunque solo personale autorizzato con stivali e casacche specifiche.”

Dice ancora la dottoressa Roberta Petrucci:

“Si lavora tutto il giorno ma si cerca di garantire un minimo di benessere psico-fisico: per rendere al meglio bisogna essere lucidi. C’era il collegamento internet: mai come questa volta erano in pensiero per me e avevo la necessità di dare loro notizie in maniera regolare”.

La notizia del contagio della dottoressa francese ha fatto tremare tutti, ma non la dottoressa Petrucci.

“Non si sa nulla su di lei. Posso dire che c’è una procedura di sicurezza rigidissima prima di partire, quando sei lì e prima di tornare a casa. Il materiale che indossiamo rende difficile lavorare ma è indispensabile: viene indossato sempre in coppia proprio per evitare che uno dei due commetta errori. Ma il rischio non può mai essere zero. La paura? Sarebbe da incoscienti non averne”.

Roberta Petrucci conclude:

“La mortalità dell’Ebola è del 40-50%. Ma vuol dire che il restante 50-60% può star bene. Ogni vita salvata è una festa. Non dimenticherò mai Mamadi, bambino di 11 anni, senza famiglia, che dopo una fase di ricovero severa è guarito. I suoi salti, la sua gioia, i suoi sorrisi ci hanno portato una ventata di ottimismo. Era la mascotte del gruppo”.

DONNAGLAMOUR ULTIM'ORA

ultimo aggiornamento: 13 Aprile 2022 10:43


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