È lo stesso autore di Pastorale americana a confermare il suo abbandono alla scrittura in un intervista. «C’è altro nella vita oltre a scrivere e a pubblicare libri». 

Forse non stupirà i suoi  lettori e le sue molte  e affezionate lettrici. Philip Roth, uno tra i più grandi narratori in lingua inglese degli ultimi decenni, ha confermato in un intervista di aver deciso, a partire  già dal 2009, di non scrivere più.

In effetti è da quell’anno che Philip Roth, 81 anni il prossimo 19 marzo, non ha più scritto nulla. In Italia Einaudi, l’editore di riferimento, nonostante ciò continua a pubblicare o a ripubblicare in nuove traduzioni i suoi capolavori.

Solo lo scorso anno è uscita ritradotta la sua autobiografia “non convenzionale”, I Fatti. Philip Roth, in questo libro pubblicato negli Usa nel 1988, invia una lettera a Nathan Zuckerman, il protagonista di molti suoi libri e alter-ego per eccellenza. Gli chiede se valga la pena pubblicare quanto gli allega. L’autore di Pastorale Americana, lavoro che gli valse nel 1998 il prestigioso Premio Pulitzer, scrisse quelle pagine a seguito di una crisi emotiva ed esistenziale che lo portò a un ripensamento quanto della sua letteratura, quanto della sua vita. Non di poco conto lo scontro con l’establishment ebraico, pure lui ebreo, dopo l’uscita di Goodbye, Columbus nel 1959.

Philip Roth, da sempre candidato al Premio Nobel per la letteratura che però non ha mai vinto – i critici dicono per motivi più politici che altro –, forse deve aver vissuto in questi ultimi anni una nuova crisi che l’ha portato a interrogarsi sul ruolo del narratore nel mondo contemporaneo. Una riflessione profonda addirittura sul linguaggio.

E l’intervista rilasciata da Philip Roth a Cynthia Haven, docente alla Stanford University, e pubblicata sul suo blog si intitola non per nulla The novelist’s obsession is with language.

Philip Roth che ora passa la sue giornate nuotando, guardando le partite di baseball, ascoltando musica, vedendo qualche film, difficile quelli tratti dai suo romanzi, ma soprattutto passeggiando nella natura ha dichiarato che «in tutto ciò c’è molta più vita che nella scrittura e nella pubblicazione di romanzi».

Nel dialogo con Cynthia Haven, Philip Roth, ribadisce il suo pessimismo riguardo il futuro della letteratura. Alla domanda cruciale se non senta più il desiderio di tornare a pubblicare Roth è lapidario: «Mi creda, mi sento meglio perché non ho più scritto una parola di fiction dal 2009».

Nulla di nuovo sotto il sole: Philip Roth è approdato in fine alle stesse tremende considerazioni del Premio Nobel Eugenio Montale. Il poeta italiano, premiato nel 1975, ritirando il riconoscimento si interrogava su che senso avesse ancora scrivere poesie.

Entrambi, Montale e Roth, però sono entrati nell’immortalità. Basta affacciarsi in  libreria per poterli sempre ritrovare. Roth anche sullo schermo del tv, o oggi di un pc, un tablet o uno smartphone in uno dei film tratti dalle sue pagine: Goodbye, Columbus (1969), Portnoy’s Complaint (1972), La macchia umana con Anthony Hopkins, Nicole Kidman e Gary Sinise (2003), e Lezioni d’amore con Ben Kingsley e Penélope Cruz (2008).

Andrea Formagnana.

DONNAGLAMOUR ULTIM'ORA

ultimo aggiornamento: 3 Febbraio 2022 9:49


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